
Cosa fa un fotografo di ritratto quando arrivano app di intelligenza artificiale che permettono di creare delle immagini di sé stessi (per altro molto molto lusinghiere) con un paio di tap?
Direi che come minimo si fa due domande.
Devo dire che non sono tra coloro che sono spaventati dall’intelligenza artificiale. Più che altro, sono lievemente preoccupata per il circolo vizioso di appiattimento culturale e creativo, dovuto al fatto che, allo stato attuale, le AI non generano, ma rielaborano ciò che è stato dato loro in pasto. Dietro nostra richiesta, producono contenuti da ciò che hanno acquisito precedentemente e, come ha ammesso Chat GPT in una nostra precedente conversazione, la maggior parte delle volte la richiesta è di creare qualcosa di semplice e banale, pre-masticato e pre-digerito, che verrà poi ri-acquisito dall’AI stessa e sarà usato per produrre contenuto sempre più cringe, e via così.
C’è poi lo scenario in cui l’AI diventa veramente generativa, se non proprio senziente, e in questo caso io sono fiduciosa che andremo verso una realizzazione Asimoviana, in cui le intelligenze artificiali si prenderanno cura dell’umanità, ma nel dubbio (siccome ho ben presente anche Terminator), cerco di essere sempre gentile e rispettosa, quando mi rivolgo a qualcuna di queste entità.
Ma tornando invece alla prospettiva che ne ho, come fotografa di ritratto: vi dico due cose che mi sono venute in mente.
AI e Autenticità della Comunicazione
Ho deciso di scrivere questo post perché nelle ultime settimane ho finalmente avuto tempo e focus per aggiornare il sito e mi è tornata voglia anche riprendere a condividere pensieri, considerazioni, conoscenze che acquisisco intanto che lavoro, studio, sperimento e approfondisco.
Ovviamente le best practice per la comunicazione online evolvono velocemente e dunque spesso ci si deve guardare intorno per aggiornarsi.
Proprio da qui ho acquisito la consapevolezza dei punti deboli dell’AI: tanti contenuti perfetti per gli algoritmi, ma che mi hanno lasciato una sensazione di vuoto, di inutilità, di inumanità. Oserei dire perfino di contraffazione, di imitazione sciatta.
Capisco molto bene che ci siano settori in cui il volume (sia in senso quantitativo che in senso di forza di imposizione del messaggio) sia prioritario rispetto alla cura e all’autenticità, però ho capito anche altrettanto perfettamente che non è mai stato e non potrà mai essere il mio caso e la mia preferenza.
Ritratti Iperrealistici?
Intendiamoci, ho giocato anch’io con Faceapp e seguo da vicino le evoluzioni delle intelligenze artificiali che generano immagini. Proprio di recente ho sperimentato un’app che sembra estremamente promettente, in termini di creazione di ritratti personali e professionali: è stato estremamente divertente e anche qui, non ho potuto fare a meno di fare un paio di riflessioni.






Innanzi tutto, le immagini prodotte non sono solo estremamente lusinghiere, ma sono proprio una versione idealizzata di me. Anche tralasciando il feeling plasticoso da videogioco che contraddistingue per ora tutte le immagini AI e grazie al quale si riconoscono ancora abbastanza facilmente, questi ritratti hanno proprio stravolto la mia essenza per come essa è, riconfigurandola a quella che “dovrebbe” essere.
Sì lo so, in tutti gli articoli a tema di ritratto si parla di essenza – “la vostra vera essenza”, “la vostra essenza interiore”, ecc (a proposito dei contenuti perfetti per gli algoritmi, di cui parlavamo poco più sopra) – ma praticamente mai si spiega o si approfondisce il discorso.
Ebbene, questa occasione calza a pennello per parlarne molto nel concreto.
Per farlo, prenderò in prestito termini mutuati proprio dai sistemi che ci aiutano a trovare le parole per definire l’unicità di ognuno di noi, attraverso il blend di elementi e sensazioni yin / yang che contraddistinguono la nostra presenza fisica e spirituale, come il sistema di David Kibbe.
Presenza, appunto, sia fisica che spirituale. A mio parere infatti le nostre caratteristiche fisiche finiscono con l’influenzare le nostre caratteristiche spirituali / caratteriali, e viceversa. Sia quando ci si allinea a quello che siamo di base, sia quando ci adoperiamo per alterarle. Ma questo è un altro discorso (che mi appassiona moltissimo e sul quale sto studiando e riflettendo molto), di cui parleremo magari più avanti.
Tornando a noi, il mio blend yin / yang ha un equilibrio che è leggermente più yin nel viso, e un po’ più yang nel fisico. Il mio viso ha le guanciotte, il naso patatina, labbra abbastanza piene, occhi chiari e in generale incarnato e colori chiari. Ma sono alta un metro e ottanta e passa, la mia cassa toracica è larga e le spalle pure, non sono curvy nel senso di seno e fianchi abbondanti, ma ho una massa corporea e una figura in generale che non si può definire gracile nemmeno quando sono sottopeso.
Credo che tutto ciò traspaia abbastanza facilmente dall’ultimo autoritratto che mi sono scattata.

Le foto create dall’AI invece hanno massimizzato la componente yin (perché ovviamente è più desiderabile in una femmina), fino a trasformarmi in un incrocio tra Aurora Ramazzotti e Matilda De Angelis, che sono sicuramente (a mio parere) due icone aspirazionali di gradevolezza estetica.
La cosa diventa ancora più accentuata quando l’AI ha provato a generare immagini con uno stile che riconduceva ad altre epoche: anziché adattare lo styling alle mie caratteristiche, che ha adattato il più possibile le mie caratteristiche allo stile di quel momento storico.


Quindi direi che, se un ritratto, per chiamarsi ritratto, è auspicabile che catturi la nostra essenza, le mie foto generate dall’AI non sono sicuramente ritratti.
Allora cosa sono?
L’effetto Uncanny Valley
La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho visto il prodotto dell’intelligenza artificiale all’elaborazione dei miei ritratti, è stato l’effetto Uncanny Valley.
Quando un’immagine o un volto sembrano quasi umani, ma non del tutto, il nostro cervello avverte una sorta di dissonanza. C’è qualcosa che non quadra, un dettaglio che tradisce l’artificialità, e il risultato è un sottile senso di disagio, quasi di inquietudine.
Un robot con addosso la mia faccia, idealizzata.
Ho chiesto a Chat GPT di aiutarmi a focalizzare la sensazione che provo ultimamente quando entro in un sito o profilo in cui sono predominanti le immagini create con l’AI, parlandole del mio straniamento e di una sottile, ma profonda, sensazione di solitudine. Lei mi ha detto: “È come camminare in una città popolata solo da manichini: tutto è al suo posto, eppure manca la vita”.
Fotografia di Ritratto VS AI
Onestamente, bisognerà vedere quali saranno le evoluzioni della tecnologia, ma credo che allo stato attuale possiamo fare un paio di considerazioni.
Innanzi tutto, stavo riflettendo che l’AI ha comunque bisogno di immagini di partenza, da cui generare poi le sue elaborazioni. Io non di rado ho clienti che non sono entusiasti dei propri selfie, perché anche i selfie hanno delle peculiarità tecniche che non riescono a rendere fedelmente e/o in maniera lusinghiera qualsiasi combinazione di connotati. Dunque è probabile che queste persone non si ritroveranno soddisfatte dei prodotti generati dall’AI a partire da materiale autoprodotto (se siete tra questi ultimi, state per effettuare qualche esperimento con l’AI e volete discutere insieme i risultati, sono tutta orecchi!).
C’è poi il problema appunto dell’effetto Uncanny Valley, che so che sarà (è) sottovalutato all’inizio, ma sono pronta a scommettere che l’iper-inflazione di immagini e ritratti AI avrà un backlash altrettanto rapido quanto è veloce l’evoluzione delle tecnologie relative all’intelligenza artificiale.
Infine, a meno che l’AI non diventi generativa e/o senziente, avremo il problema dell’appiattimento e della ripetizione creativa (questa cosa ad esempio mi ha colpito incredibilmente di recente su pinterest), per cui si finirà per trovare il proprio viso applicato a dei pre-confezionati prodotti in serie.
Ma soprattutto, la sottile arte di riconoscere e cogliere (davvero) l’essenza. Che, come abbiamo visto, è un gioco di equilibri e percezioni esterni ed interni impalpabile, un’energia che viene comunicata, percepita e restituita tra entità divinamente complesse, immerse e originarie di un universo ancor più complesso, della cui comprensione, a mio parere, siamo solo all’inizio.
Mentre scrivevo questo articolo, non ho potuto fare a meno di chiedermi costantemente se non mi stessi tirando la zappa sui piedi da sola, invitando essenzialmente voi che siete arrivati su questa pagina alla ricerca di un fotografo per i vostri ritratti, a scaricarvi una di queste app e a provare il fai da te.
Ma alla fine, come professionisti, credo non sia lungimirante cercare di nascondersi dietro un dito e fare finta di ignorare le novità che periodicamente rivoluzionano il nostro settore e credo che la cosa migliore sia sempre essere aperti, onesti, chiedersi se si ha effettivamente un plus da offrire al cliente e qual è il modo migliore per comunicarlo.
Vi lascio qui qualche altra immagine prodotta dalle nostre amiche AI, che se volete potete scrutinare, ingrandire e mettere a confronto con i risultati dei miei servizi fotografici di ritratto privato e professionale: che dite, percepite una differenza? ; )
Imperfettamente Splendido
A mio parere occorrerà fare anche molta attenzione alla post produzione: non di rado, lavorando le immagini con automatismi e applicazioni ad hoc, si rischia di avvicinarsi molto, come risultato complessivo, al feeling plasticoso che hanno i le immagini AI.
Non è difficile capire da cosa ciò è derivato, ed è interessante perché ne vengono fuori anche un’analisi più generale e, azzardo, qualche pronostico.
Noi esseri umani siamo attratti dalla bellezza, dalla simmetria, dalla perfezione. Quando una cosa è “straordinaria”, ne siamo mesmerizzati, perché raramente in natura esiste qualcosa di assolutamente perfetto, in senso oggettivo e formale. E uno dei tratti distintivi della nostra specie, è che vogliamo crearla, questa perfezione, sin, credo, dall’alba dei tempi.
La perfezione quindi diventa un tratto distintivo, di attrazione. Le celebrities ad esempio, e chiunque desideri distinguersi e attrarre, tende a voler incarnare, questa perfezione sovrumana. Nella pubblicità, i prodotti sono sempre perfetti (vi rimando all’esempio del panino di McDonald’s – com’è in realtà e come viene presentato nelle pubblicità).
Di tutte le immagini con cui sono state nutrite le AI, è facile immaginare che solo una piccola parte fossero post prodotte con le tecniche high end utilizzate per prodotti editoriali e pubblicitari che ne sublimano sottilmente la mondanità, fino a farle diventare ideali. La stragrande maggioranza probabilmente erano post prodotte appunto con l’utilizzo di automatismi e scorciatoie che permettono di ottenere un risultato che minimizza i dettagli indesiderati ma a scapito della naturalezza del feeling generale (pensiamo ai filtri bellezza di Instagram e tiktok). E questo è l’effetto che hanno tutt’ora anche le immagini AI più sofisticate.
Per quanto però utilizzassimo filtri e affini, il livello di perfezione “massimo” era ancora relegato ad una percentuale relativamente piccola, di tutte le immagini di cui fruivamo, quindi la nostra attrazione verso questa perfezione era ancora molto elevata.
Ora invece, grazie alle AI, questa percentuale sale esponenzialmente ogni secondo, per ogni tipo di immagini, non solo per i ritratti, quindi io immagino che potrebbe succedere una cosa tipo ciò che è accaduto, per fare solo uno dei tanti esempi, nel design tra il 2000 e il 2010: con la possibilità di creare rendering sempre più realistici che diventava sempre più facile e accessibile, si è cominciato a piazzare appunto questi rendering foto realistici in qualsiasi contesto. I prodotti stessi venivano veicolati attraverso i loro rendering. Quindi, piuttosto velocemente, le aziende e i designers che invece volevano distinguersi da questo brusio indistinto che stava diventando sinonimo di dozzinalità, hanno cominciato ad evitare come la peste di utilizzare i rendering nella loro comunicazione, ricercando invece l’organicità e l’autenticità.
Quindi io immagino che ci troveremo presto sommersi da una quantità smisurata di immagini formalmente perfette, a cui ci abitueremo e ciò anestetizzerà l’effetto wow che ci fa la perfezione “inflazionata”, fino a che la assoceremo appunto a qualcosa di facile da ottenere e quindi di poco valore.
Ciò che credo potrà invece mantenere e aumentare di valore, sarà ciò che potremmo definire “imperfettamente splendido”: qualcosa che non sarà formalmente perfetto, simmetrico, che avrà dei dettagli che ne caratterizzino la personalità, ma che sarà curato, rifinito, sentito.
Voi che ne pensate?
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